giovedì 15 febbraio 2007

The importance of being first.


Ci siamo accostate al bancone della reception dove campeggiava in alto il cartello con la "I" di informazioni.

C'era parecchia gente nella hall, le informazioni che chiedevano all'ometto coi baffi dientro il bancone erano le più disparate, chi aveva bisogno di parlare con il Dott.Tal-dei-tali, chi doveva prenotare una visita, chi chiedeva dove fosse la toilette.

Quando è arrivato il nostro turno ci siamo avvicinate all'ometto dalla faccia appuntita, abbiamo allungato il collo verso di lui e con un fiato gli abbiamo detto "Dobbiamo...", non ci ha fatto terminare la frase, aveva capito perfettamente di che cosa avevamo bisogno, forse lo si vedeva dalle nostre faccie imbarazzate e preoccupate che qualcuno potesse sentire.

Velocissimo ha tirato da sotto il bancone un talloncino giallo con un numero, il sei.

"Dove seguite le frecce gialle" ci ha detto cortese, indicandoci un corridoio.

I corridoi sono sempre troppo lunghi e stretti, sempre troppo bui quando hai l'animo pesante, anche quello c'è parso così, abbiamo riso, per allentare la tensione, nel vedere incollato al muro il primo cartoncino con le freccie colorate ordinate una sotto l'altra, "per il giallo di qua", "per il rosso di qua","per il verde di qua","per il blu di qua", indicando la stessa direzione.

"Sembra la caccia al tesoro" ci siamo dette sorridento camminando rigide e frettolose a braccetto.

Abbiamo girato a destra, poi avanti, poi ancora a destra, arrivate in un atrio stranamente vuoto con un grande ascensore ci siamo guardate intorno, "E' lì la freccia gialla", le faccio io trascinandola per un braccio.

Le frecce colorate ci hanno abbandandonano diligenti una per volta, una davanti ad una porta grigia, un'altra che segnava il piano superiore, solo la gialla sempre più grande ci indirizzava nell'intestino della clinica.

Sì, la clinica che "sembrava un albergo", ma mentre si srotolavano sotto la freccia gialla svolte e corridoi perdeva il verde brillante delle colonne nella reception, diventando il celestone spento delle scuole.

Arrivate.

La freccia gialla è sparita nell'indicarci una porta aperta, un quadrato in plexiglas appeso all'ingresso della stanza con la scritta asettica "Pianificazione familiare" ci ha confermato che il posto era quello.

Abbiamo dato una sbirciatina nella sala d'attesa, sorridendo nello stesso istante nel renderci conto che l'albergo iniziale s'era trasformato davvero in una pensioncina triste come un ospizio, nello stanzone scarsamente illuminato almeno una decina di donne erano sedute alle poche sedie e sui due lunghi divani di pelle chiara, entrami giunti allo stesso stato di decomposizione, consunti e quasi sfondati.

Alcune parlottavano tra di loro, mi sono domandata se si fossero conosciute in quel momento o se erano come noi vecchie amiche, vicine nel momento del bisogno.

Ho guardato i visi di quelle donne stupendomi di trovarmi non di fronte a quindicenni la cui curiosità incosciente o la convizione d'essere ormai adulte le aveva portate a una scelta che non avrebbero fatto a cuore leggero; no, le donne che vedevo avevano un dito anulare fasciato d'oro e un viso non più adolescente.

Il vociare era un sottofondo timido, fino a quando abbiamo sentito uscire dal coro un disinvolto e quasi urlato "No, cara non preoccuparti è una passeggiata, io l'ho fatto anche due anni fa, dura pochissimo, neanche il tempo d'un caffè", ho visto i sorrisi nervosi di tutta la stanza girasi verso il donnone dai tacchi a spillo e capelli neri corvini che sembrava incredibilmente a suo agio,"Speriamo" ha risposto, mordicchiandosi le labbra, una ragazza vestita di nero e subito ha raccontato la sua storia:

"Io non ho scelta, ho un bambino di 4 mesi, troppo piccolo, non riesco a star dietro a lui...no, non posso..."

La diga dell'ansia e della riservatezza s'era rotta. Non importa quanti anni hai, il lavoro che fai o il tuo ceto sociale, quando si è nella stessa paurosa barca, l'importante è che tu sia lì con me e che più di chiunque altro tu possa capirmi...parlami, mi farà sentire meglio.

Così è succeso.

Ho sentito le storie di ognuna, le sacrosante ragioni, ho compreso tutto e ho pensato che avrei fatto lo stesso anch'io se fossi stata al loro posto.

Solo una cosa tornado a casa da sola in macchina mi ronzava in testa: una buona maggioranza di donne che erano lì nello stanzone,aveva un bimbo piccolissimo, un neonato affamato che le aspettava a casa.

Poco meno di un anno prima quelle stesse donne avevano probabilmente desiderato un bimbo per farlo crescere nelle loro pance, per partorirlo, per allattarlo...probabilemente per amarlo una vita intera.

Non ho pensato "Mamma mia ma come si fa a decidere di rinunciare a altre due manine paffute?"; perchè sicuramente anch'io al posto loro, alla luce delle notti insonni, di estenuanti tour de force tra il lavoro, i nonni, la scuola materna, i pianti con la febbre e le nevrosi varie, anch'io al posto loro avrei detto "Un momentino, cerchiamo prima di riprenderci un pò, proprio ora non ci voleva", questo mi sembra davvero un pensiero sensato, perchè fare l'eroina non sempre è la cosa più intelligente da fare...ma quello che mi fa riflettere è la CASUALITA' della vita, in questo caso più che mai: "Tu sei ARRIVATO per PRIMO e sei restato, sei nato, sarai amato".

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